ARS MAGNA di Gaetano Grillo

Pablo J. Rico

Io ho scritto molto, negli anni, a lungo e in maniera profonda, sull’opera di Gaetano Grillo (sul suo essere e stare nel mondo dell’arte) e sulla sua pittura. Nella maggior parte dei miei testi mi sono riferito alle sue caratteristiche “parole dipinte”, e ai suoi ipertesti dipinti ed incisi che sembrano geroglifici o enigmi, e che in realtà sono “trompe d’oeil” nel senso più reale, trappole per gli occhi e per lo sguardo, autentiche poesie visive nella loro totalità, come anche le belle dichiarazioni di amore per la pittura e le sue identità.

Non ho alcun dubbio che Gaetano Grillo è uno dei massimi singolari rappresentanti di questa stirpe di grandi artisti della modernità che hanno lavorato con maggiore insistenza e successo nel territorio visivo ed espressivo della “parola dipinta”, quindi, la parola come segno e icona estetica assoluta, avendo creato alcuni dei suoi esempi più suggestivi, inclusa la costruzione di un proprio linguaggio con frammenti di alfabeti antichi, contemporanei e altri inventati, una specie di “esperanto visivo” di cui solo Grillo possiede le chiavi della decifrazione della sua genesi e interpretazione. The Global Alphabet è sicuramente uno dei suoi progetti più ambiziosi: un gigantesco universo-genoma di lettere molecolari incise (in senso generale) che insomma costituiscono il suo eccezionale “Alfabeto Grillico”, fortunata denominazione che ci evoca il grande alfabeto cirillico che tante lingue e letterature hanno dato origine accrescendo il patrimonio culturale dell’umanità per secoli.

Questa immensa fatica concettuale e formale è comparabile soltanto a quella che il mio ammirato Xu Bing ha realizzato per A Book from the Sky (1987-1991), A.B.C…(1991-1994) o Square Word Calligraphy (1994-1996), fra le sue opere più strettamente linguistiche. Interpreto che Gaetano Grillo, come lo stesso Xu Bing, è affascinato dalle forme visive del linguaggio tanto più che dai suoi caratteristici contenuti espressivi, dalle corrispondenze fra le forme grafiche delle sue lettere e quelle delle forme grafiche comuni, le contaminazioni e i trasferimenti reciproci tra i due grandi blocchi di lingue orientali e lingue di caratteri latini occidentali, calligrafia orientale e tipografia occidentale…e, naturalmente, da parte della desemantizzazione delle stesse parole, dei loro diversi significati e/o delle problematiche contraddittorie, i processi del linguaggio, la percezione e l’interpretazione delle lingue straniere, le loro traduzioni, la letteratura comparata, imparata anche da nozioni false e/o vere strategie dell’aspetto del linguaggio, i nostri diversi sentimenti di fiducia o sfiducia nella presunta capacità significante delle parole in relazione ad esse, la loro sintassi, la loro maggiore o minore capacità di crittografare ipertesti e tesori archeologici della nostra memoria… e libri, sia come bagaglio di conoscenze che intesi nella loro qualità estetica di oggetti… Sia Gaetano Grillo sia Xu Bing, sono (anche) miei grandi amici, complici per anni, fratelli gemelli della stessa placenta etica, mistica ed estetica…

Per anni ho goduto nel raccogliere immagini e dirigendo mostre in cui parole e alfabeti dipinti (o scolpiti o fotografati o in movimento) erano il leitmotiv principale. Tra gli altri, ho esposto gli alfabeti di Joan Mirò, del grande poeta-pittore Rafael Alberti, Jasper Johns, Xu Bing, l’artista spagnolo Santiago Arranz, le parole e le istruzioni di Yoko Ono, Leon Ferrari, Jaume Plensa, Gaetano Grillo, e decine di altri artisti spagnoli e decisive opere che furono realizzate anche con lettere e parole che sfuggono al loro significato letterale. Sarei felice se un giorno mettessi tutti insieme in una grande mostra retrospettiva su questo argomento che mi affascina e che ha occupato per metà della mia vita la mia attenzione di storico dell’arte. Per questo motivo The Global Alphabet sarebbe una delle opere centrali dell’ipotetica (e tanto desiderata) esposizione. Sicuramente la esporrei come un’installazione aperta, come un muro a tratti interrotto e percorribile, che possiamo attraversare (con le nostre parole alle spalle) sempre in avanti con i nostri occhi. Non dovrebbero essere le parole, nostri linguaggi particolari, una parete continua dietro la quale rifugiarci per difendere precariamente la nostra identità soggettiva; tuttavia ci sono ancora troppi muri da abbattere con i nostri strumenti estetici primitivi ma efficaci. Le mura di Gerico furono abbattute anche con le parole gridate ad alta voce, con i canti, con i mantra a modo loro.

Immagino che Gaetano Grillo ci propone di ripensare attraverso lettere e segni, con questo immenso e indeterminato traduttore universale, forse epocale come può immaginarlo Ramòn Llull (Raimondo Lullo), il grande saggio maiorchino apostolo dello sbocco sul mare senza confini, come la sua Ars Magna, perché no?… Che bel tributo, che geniale corrispondenza ha creato Gaetano con Ramòn Llull (anche senza immaginare tale coincidenza), precisamente nel settimo anniversario della sua scomparsa fisica! Una macchina pensante e trascendentale unica in cui si fondono e confondono cellula con cellula, immagine con immagine, parola con parola, in cui le nostre emozioni estetiche sono alchemicamente crittografate, sostanzialmente diluite sillabando strane parole per inventare… Questa è grande ARTE, no? ARS MAGNA, ne’ più ne’ meno…

Gaetano Grillo. La Mano.

Andrea B. Del Guercio

Nelle relazioni che in questi anni ho instaurato con Gaetano Grillo e con il suo operare, fatto di conoscenza dello studio e condivisione della didattica a Brera, ritengo centrale il dato del lavoro e la costante dell’esperienza; sia l’uomo che l’artista, segnalano un approccio alla cultura dell’arte in cui la manualità ha un ruolo decisivo, fornendo una chiara relazione tra la cultura materiale e l’intenzione tematica, svolgendo quindi un’azione indipendente, fortemente partecipativa nella redazione dell’opera d’arte.

Nella affermazione di ‘piacere’ espressa in forma di ‘Manifesto’ “Sono felice quando dipingo” già nel 1976 indicava non la retorica propria di un’esperienza antica, la stanca e retorica riaffermazione di una artigianalità fine a se stessa, ma tutto il valore di una scelta che rinnova la sua funzione d’uso attraverso l’attivazione di un’esperienza interna all’atto stesso del dipingere; una scelta ‘contro corrente’ che si poneva in relazione con quanto era avvenuto, nei primi anni del ‘900, nei confronti dell’indipendenza del colore dall’assoggettamento descrittivo al reale.

Il valore provocatorio di quella affermazione, collocata nel contesto storico di riferimento, segnalava una relazione e quindi l’idea di riconoscere, di esplicitare il patrimonio autonomo di emozioni e sentimenti racchiuse in un fare dell’arte non più dipendente dal dovere del ben descrivere.

La fedeltà a quella dichiarazione, anticipata con la Mostra ‘Lectio Historiae’ nel 1972,riconfermata con un più ampio bagaglio teorico e sulla base di una lunga esperienza di lavoro, si riconosce come valore esperienziale in quelle stesse origini dalle quali Gaetano Grillo sembrava  voler prendere le distanze. Nella documentazione fotografica relativa alle istallazioni del 1971, contrassegnate dalla ‘manualità’ plastico-concettuale di Alik Cavaliere, utile relatore per gli sviluppi espressivi delle esperienze compositive di Mimmo Rotella e di Enrico Baj, mette in grande evidenza la mano dell’artista, la sua funzione operativa di stringere e di tirare, di legare e di sostenere, dimostrandosi quindi tanto centrale fino a permetterci di affermare che si trattava di un’opera nell’opera d’istallazione. Quelle antiche foto-documentazioni, cosi tipiche dei valori progettuali delle seconde avanguardie, da intendere sempre in una dimensione allargata, sottolineano la stretta relazione tra l’impegno della mano e il piacere del fare, dimostrando che nella manualità si conserva interamente non solo una funzione strumentale ma il piacere del fare ed ancora un’intelligenza indipendente, una saggezza che si accumula, una curiosità che apprende, una tenerezza che esprime, un’intelligenza che raccoglie la volontà di dare corpo e sostanza alle idee e ai pensieri.

Esemplare ed illuminante in questo ambito il saggio dedicato al valore del fare dell’arte che redige Pierangelo Sequeri “La mano non è semplice strumento che fornisce oggetti da pensare o eseguire idee del pensiero. La mano dell’uomo ha un’intelligenza spirituale delle cose. La mente e l’anima apprendono dalla sensibilità della mano cose che altrimenti sarebbero per sempre precluse” nel 2007.

Sulla base di questo principio di metodo, si sviluppa l’intero percorso espressivo di Gaetano Grillo ed è ancora la documentazione fotografica e gli approfondimenti che la produzione editoriale offrono, a rivelare le significative dimensioni di un processo di ‘accumulo’ espressivo; l’esperienza della ‘rivisitazione’, di una rilettura visiva quale esperienza sensibile di fronte al patrimonio culturale dell’arte, antica e moderna, appare un passaggio importante, sia in relazione ai valori della stagione neo-pittorica degli anni ’70 ma anche quale bacino esperienziale del fare in cui interviene la fotografia e il disegno , la manipolazione e l’organizzazione spaziale della comunicazione ed in particolare il collage: La colla per tenere insieme i vari pezzi é l’idea, il progetto che rende possibile un ordine, che dà a esso un senso. L’uomo contemporaneo è come un collagista; dispone e fissa ogni singolo dettaglio sul proprio desktop, copia, taglia e incolla ma con quale colla?”

L’azione del lavoro per sovrapposizione di immagini e stratificazione delle carte permettono a Grillo una libertà espressiva che cancella i troppi vincoli ideologici del tempo, per crescere attraverso la curiosità intellettuale e una felicità entusiastica per le forme e il colore, il decoro e la raffinatezza, andando ad agire attraverso l’ironia iconografica e la preziosità dei materiali.

L’attenzione e la ricerca dei materiali e il loro impiego con volontà di affermazione di valori estetici e simbolici propri, dalla carta, al legno alla terra, sottolineano l’attenzione alla cultura materiale nella relazioni con il patrimonio culturale dell’umanità a cui si dedicata ancora con volontà di rivisitazione allargando le forme di riappropriazione. In particolare l’esperienza del linguaggio, la sua nascita e l’affermazione nella società umana, l’infinita articolazione di soluzioni linguistico-visive, tecniche di redazione su supporti diversi, focalizza l’attenzione di Grillo in un ampio arco di tempo, giungendo all’estensione monumentale dell’Alfabeto contemporaneo composto da millequattrocento  formelle di terra refrattaria iniziato nel 2010 e completato nel 2015: ” E’ un lavoro faticoso e di grande fisicità poiché occupa anche molto spazio, è pesante e “primitivo”, richiede sacrificio e tempi lunghi di esecuzione. In questa assoluta inattualità si inscrive una delle dimensioni di questo lavoro che pur essendo la conseguenza della globalizzazione delle culture in corso attraverso la rete, internet e le tecnologie sempre più immateriali e capillari, conserva e si realizza, per reazione in una estrema e primitiva forma di materialità”.

Ancora la preziosa documentazione fotografica dedicata alle istallazioni espositive dagli anni ’90 ad oggi ci permettono rilevare l’attraversamento e la creativa edizione di un sistema globale di comunicazione: il racconto istoriato e l’alfabeto per immagini, la scrittura braille e l’incisione rupestre, le predelle alla base delle pala d’altare e le tavolette cuneiformi,l’iscrizione lapidea e la banda decorativa, i codici elettronici e i codici miniati, il ciclo di formelle robbiane e il tazebao cinese coinvolgendo le diverse culture calligrafiche orientali, per poi contrassegnare una produzione ceramica preziosa. “Nel nostro tempo vocato alla velocità, alla mutevolezza ed all’immaterialità,ho contrapposto un lavoro arcaico, fatto di terra, acqua, aria e fuoco, un lavoro volutamente lento e fortemente fisico. Ho voluto forgiare a mano come fecero gli assiri, un nuovo alfabeto in terracotta, ingombrante e pesante, contrapposto alla precarietà delle immagini fatte di sola luce che stanno segnando la nostra civiltà, immagini che svaniscono velocemente così come velocemente le componiamo.”

Scrivere per immagini sembra essere il procedere di Gaetano Grillo, di un artista sospinto da una volontà irrefrenabile, non solo circoscritta nell’ambito artistico, ma sostenuta dal senso di responsabilità e di impegno civile; a questo ambito appartiene l’impegno dedicato alla didattica artistica in Accademia, la Direzione editoriale di Academy e più recentemente alla stesura del volume “Dipingo dunque esisto” per le Edizioni Immagine: “…come Ulisse, ho sfidato la tentazione facendomi legare all’albero della mia barca, la pittura.”.

In principio erat Verbum …

Guido Curto

“In principio erat Verbum …” scrive Giovanni nel poetico, straordinario incipit del suo Evangelo. Può sembrare enfatico citare addirittura un Vangelo, per introdurre un breve commento critico alla vasta opera che l’artista Gaetano Grillo ha dedicato ai molteplici affascinanti simboli della scrittura. Eppure il fatto che il Verbum, per i latini la parola, ma letteralmente il Verbo, sottintendendo il Verbo Essere, istanza prima e ontologica dei filosofi, costituisca in nuce l’origine divina del Creato, dell’Universo, del Mondo, della Vita sulla Terra, sia stato tradotto e traslato dall’Homo Sapiens in scrittura, è il punto nodale si cui si fonda tutto questo immane lavoro di Gaetano Grillo. Una scrittura sorta nell’ambito delle prime grandi civiltà mediterranee, l’egizia compresa, a cominciare dal cosiddetto ideogramma egizio, erroneamente, perché ogni figura rappresenta un suono, si badi, non simboleggia l’oggetto raffigurato, come erroneamente ipotizzarono gli antichi greci.  

Nell’opera di Grillo la scrittura vale per se stessa, non è codice fonetico ma codice anche simbolico, non è un ermetismo puro, sta più al lettore che all’autore interpretare, connotativamente, non denotativamente. Grillo manda messaggi, scrive testi, produce una vera scrittura, un’opera d’arte totale, dove ogni segno, simbolo, vale di per sé ma trova però anche un senso nell’insieme, da infinitum, in progress.

Così questo suo muro, fatto di 1400 e più mattonelle di argilla cotta, lavorata ad altorilievo, come le arcaiche tavolette di Ugarit, ma con la stessa seduzione metrica della tavolette incise in cuneiforme, evoca l’aura di questa nostra civiltà, aggredita dalla tecnologia, dai nuovi simboli di un’Era Contemporanea, globalizzata più dallo scambio economico di merci che da scambi di vera cultura.

In metafora, come la Civiltà Mediterranea, la nostra stessa Civiltà Contemporanea è espressione di una totale fusione di culture, di un mondo il nostro, sempre più contaminato da simboli correlati, loghi di prodotti e servizi piuttosto che d’idee e valori condivisi. Questa Babele Contemporanea in cui viviamo, dove si comunica tanto ma non ci si riesce più a capire, evoca il gigantesco “graffito” scultoreo di Grillo che in antitesi propone una risemantizzazione delle cose attraverso veri e propri testi nei quali pittura e scultura insieme definiscono un nuovo senso delle cose, testi di scultura dipinta o di pittura scolpita.

Resta l’ottimismo di un artista che confida in tre elementi: nelle sue stesse mani e nelle materie prime – Terra, Acqua, Aria e Fuoco – grazie alle quali l’artista è oggi ancora e sempre in grado di parlare a tutti noi, di comunicare il suo Verbo poetico e creativo, che mantiene aspetti demiurgici, quasi delegati a lui dal divino. La volontà di mantenere viva questa nostra meravigliosa e antica Civiltà nata sui confini del Mar Mediterraneo, Mare Nostrum, come dicevano i latini, nonostante tutto, nonostante i conflitti, gli intrecci gli antagonismi tra religioni e culture Nord e Sud, Occidente e Oriente, Cristianesimo e Islam. E come terzo elemento la volontà di superare la Globalizzazine per tornare all’individualità dell’artista che trova identità nella sue radici, nella storia, perché Grillo è un arista Storicista, che rifiuta nel suo stesso lavoro, l’appiattimento generato dalla pseudo cultura delle leggi di mercato, che impongono gli stessi valori consumistici, gli stessi costumi, persino lo stesso modo di vestire, gli stessi cibi a tutti i Poli del mondo, globalizzandoli ed alienandoli.

Grillo sostiene la necessità di essere tutti diversi e ben caratterizzati, come ciascuna delle sue tavolette che diventano un tutto armoniosamente dialogante, nella regia sapiente del suo autore, che orgogliosamente e senza enfasi, assume in sé la capacità creatrice, data all’Uomo da un Dio, che lui stesso ci consente di affermare: essere Noi fatti a Sua immagine e somiglianza.

Questa è la creatività del vero artista.  

Alfabeto interiore, alfabeto globale

Claudio Cerritelli

Intorno alla possibilità di inventare un personale alfabeto visivo è impegnato da qualche decennio Gaetano Grillo come un processo ininterrotto e indivisibile che congiunge pittura e scultura nell’ipotesi di una scrittura ambientale che vuol farsi impresa totale, sistema geroglifico espansivo, proliferazione sincronica di forme concepite come pagine generative del pensiero utopico.

Al di là della sua coerente attitudine teorica, Grillo è interessato alle dinamiche quotidiane del fare, all’atto sperimentale e al metodo costruttivo che qualifica l’alfabeto come sintesi tangibile di molteplici percorsi immaginativi, soprattutto quelli che sfuggono alla comprensione razionale slittando verso le soglie dell’ignoto. Le tavolette di terracotta che l’artista ha pazientemente realizzato e archiviato nel corso del tempo sono ispirate alla memoria di alfabeti antichi, arcaiche scritture d’ogni tempo, icone contaminate dai sentori espressivi della contemporaneità.

Si tratta di semi culturali di varie origini che nutrono l’immaginario mediterraneo dell’autore, genesi disseminata nel grande casellario parietale, mappa di simboli che designano nuovi nessi tra la terra e il cosmo, la materia e il caos, la misura del gesto e lo sconfinamento.   

Nella visione di Grillo l’arte è linguaggio intersoggettivo che comunica la dimensione collettiva della storia, esperienza stratificata del visibile che induce il lettore a esplorare le vibrazioni del segno attraverso i sommovimenti alterni della materia.

La sequenza modulare racchiude il divenire geometrico e figurale delle singole immagini, con varietà di rilievi plastici e forme incise che si stabilizzano nella luce monocroma del cotto, punteggiata da tavolette dorate per ogni lettera del nostro alfabeto.  L’andamento lievemente arcuato dell’estensione parietale indica la curva del tempo, la dimensione circolare del pensiero che si dilata all’infinito, oscillazione tra il significato criptico di ogni monogramma e l’allusione a molteplici correlazioni significanti.

Grillo inventa un numero considerevole di stilemi articolati con sapienza intuitiva nella ripetizione differente di variazioni spaziali che sollecitano il continuo rigenerarsi delle unità segniche, come se tutto dovesse ricominciare sempre daccapo. La qualità compositiva pone in equilibrio il peso e la leggerezza dei singoli nuclei, puntando sull’immediata evidenza dei loro caratteri formali, in quanto l’opera gioca sulle risonanze del flusso verbo-visivo ma anche sulla decodificazione dei significati iconici.

Si tratta di una necessaria decriptazione dei simboli che l’artista ha ordinato con precisione semantica nel suo nuovo alfabeto, metafora linguistica dell’insieme delle scritture incontrate e assimilate nel corso del tempo.

In tal modo, la messa in scena delle tavolette geroglifiche non risponde soltanto a una narrazione di tipo concettuale ma è soprattutto un impegno programmatico con cui Grillo si sottrae al dominio dei linguaggi immateriali, valorizzando l’identità del manufatto artistico, insostituibile strumento di affermazione della materia come corpo attivo e propulsivo del pensiero.

Artista mediterraneo e il potere del segno per differenze.

Antonio d’Avossa

Non vi sono in questa grande opera di Gaetano Grillo due soli segni identici. E’ per differenze che la struttura costruttiva di questa opera si offre ad uno sguardo che può essere parziale o totale, in ogni caso articolato da una visione dove i segni giocano un ruolo fondamentale.

Si tratta dunque di un insieme di segni dove ogni cretula svolge un ruolo diverso dalle altre e tuttavia è dall’accostamento che è percepibile l’intera pagina di una scrittura omogenea dove leggendo e vedendo (contemporaneamente) registriamo tutte le possibili combinazioni di infiniti simboli ortografici (e non solo). Si tratta di grafemi, glifi, loghi, lettere che ci avviano verso una lingua che raccoglie tempi e spazi differenti. Ancora una volta le differenze diventano il motore della organizzazione dell’opera. In realtà, al numero limitato dei sistemi alfabetici tradizionali a partire dall’antichità ad oggi, Gaetano Grillo oppone una possibilità illimitata del segno, in sostanza una serie illimitata di varianti che producono un vero e proprio global language. E il riferimento alle culture (alle loro scritture in particolare) che si sono intrecciate e succedute sulle sponde del Mediterraneo è preciso, perché sulle sponde di questo mare più di 4500 anni fa nascevano le prime forme di scrittura che si differenziavano costruendo differenti linguaggi e diversi alfabeti. Erano reali codici di comunicazione tra uomini di civiltà differenti, e ci sarebbero voluti più di 2000 anni perché la pratica della scrittura dalle terre della Mesopotamia e da quelle dell’Egitto si diffondesse lungo le sponde di tutto il mare Mediterraneo, naturalmente con caratteristiche diverse. Era il primo grande villaggio globale, dove Fenici, Egiziani, Greci ed infine Romani, comunicavano e si scambiavano, attraverso differenti scritture e linguaggi, informazioni, conoscenze e merci. Dunque fa bene, a mio avviso, Gaetano Grillo a rimarcare attraverso questa grande opera, composta di 1400 tavolette o formelle, il senso del suo sentirsi uomo e artista mediterraneo. Del resto, come a corroborare questo senso, lo storico francese Georges Duby scriveva: “Quando pensiamo all’umana compiutezza, all’orgoglio e alla fortuna di essere uomini, il nostro sguardo si volge verso il Mediterraneo.”

Ma, in realtà, l’Alfabeto GRILLICO che l’artista ha realizzato supera il passato per rivolgersi al presente. Questo aspetto viene evidenziato dalla presenza del superamento del sistema alfabetico inteso come un sistema in cui i grafemi rappresentano i fonemi, cioè i segni e i suoni. Gaetano Grillo sfugge alla trappola di una visione nostalgica e meramente archeologica, perché ad uno sguardo più attento ci si accorge che molte di queste cretule non mostrano soltanto i segni alfabetici greci, sumeri, ugaritici o egizi, piuttosto riconosciamo loghi, icone e simboli che attraversano tempi e spazi differenti e che coniugano il segno con il carattere forte della sua identità. Riconosciamo il presente globale quando i nostri occhi leggono e vedono in forma di cretula, il logo di case automobilistiche come la Mercedes o la Wolkswagen, l’icona globale di un social network come Facebook, la Stella di Davide che connota simbolicamente la cultura ebraica, la conchiglia della Shell, lo Yin e lo Yang, infine il Gatto selvatico ENI disegnato da Federico Seneca nel 1952 e il Barking Dog di Keith Haring del 1980. Operando sulle modalità visive codificate dalla memoria collettiva Gaetano Grillo riformula le trasformazioni che il codice del visivo ha subito nel corso degli anni più recenti. Il passato e il presente sono plasmati, fusi e segnati in un unico e grande sistema linguistico che riesce a contenere tutte le lingue e tutti i tempi. E quì, in questo punto, che, a mio avviso, l’intera opera visualizza quella straordinaria narrazione dell’Aleph di Jorge Luis Borges: “Ogni linguaggio è un alfabeto di simboli il cui uso presuppone un passato che gl’interlocutori condividono come trasmettere agli altri l’infinito Aleph. Borges vede anche oltre la sua stessa cecità in questa prima lettera dell’alfabeto fenicio come anche nella prima lettera dell’alfabeto ebraico e che corrisponde al greco alfa e all’arabo alif e che sono all’origine della A latina, vede l’inconcepibile universo, dove tempi e spazi, segni e codici, lingue e parole, si confondono e si distinguono in una fantastica visione labirinticamente infinita.

Gaetano Grillo trascina, con questa opera, il nostro sguardo verso un linguaggio-codice-cifrario dove la creazione di un polialfabeto ci fa vedere una lingua naturale ed una artificiale allo stesso tempo. Proprio come il Mando’a una lingua aliena parlata dai Mandaloriani nella saga di George Lucas titolata Star Wars: “…tanto tempo fa in una galassia lontana lontana…”. E allo stesso modo ci racconta il passato e il presente della scrittura, ci racconta il passato e il presente della scultura, ci racconta il passato e il presente della pittura, di ogni comunicazione visibile e di ogni  informazione invisibile.

Il linguaggio e il non detto

Elena Pontiggia

Il linguaggio è la cosa più contemporanea che esista. Non c’è anno che il vocabolario non registri nuove parole: un aggettivo come, per esempio, “jihadista”, che qualche anno fa non c’era, oggi lo troviamo tutti i giorni sui quotidiani.

Il linguaggio però è anche la cosa più antica che esista. Noi diciamo tranquillamente “arrivo tra dieci minuti”, magari lo scriviamo sul cellulare, ma non pensiamo che quel verbo ha un significato arcaico e ambivalente. Vuol dire “giungere a riva” ed è nato in tempi in cui il mare permetteva di incontrarsi e commerciare (Omero parla non a caso di “veloci navi”), ma andando per mare a guadagnarsi la vita si poteva anche perderla, e la riva diventava allora, tra le onde in tempesta, un miraggio disperato.

Ogni parola, tuttavia, è già un dopo. Prima ci sono le lettere, i geroglifici, gli ideogrammi, le unità minime del linguaggio, dove il segno non è ancora parola e rimane una sorta di disegno. L’aleph, per esempio (la prima lettera dell’alfabeto fenicio ed ebraico), significa “bue” perché in origine assomigliava a una testa di bue stilizzata.

        Su queste unità archetipiche si è concentrata l’arte di Gaetano Grillo, che da anni raccoglie i segni dell’antico linguaggio mediterraneo e oggi li ha riuniti in un Alfabeto globale, sospeso felicemente tra architettura e scultura. A quei segni ne ha aggiunti altri contemporanei, in un repertorio senza tempo dove passato e futuro si intersecano. Lo scopo della ricerca è evidente. Grillo risale a un Alma Mater originaria e ne scopre l’affinità e l’identità dei linguaggi. Sul “mare inter terras” sono nate tante civiltà che si esprimevano in forme simili, se non in un’unica forma.

Osservando però più da vicino l’Alfabeto globale si scoprono altre cose. Intanto la scrittura con cui Grillo registra ogni segno è decisamente classica, verrebbe da dire bodoniana. Rette e circonferenze occupano il centro di ogni quadrato, di ogni tessera di mosaico, con un sottile amore della simmetria e dell’ordinata partizione spaziale. I segni, poi, sono precisi, nitidamente incorniciati nella tavola pitagorica dell’opera, con un alone d’ombra che li fa risaltare sulla superficie. Non hanno nulla a che vedere col gesto istintivo della pittura informale o con quello violento dell’espressionismo e della Bad Painting. Sono segni-disegni, ribaditi nei contorni, attenti alla regolarità delle forme.

La volontà di enumerazione e catalogazione, infine, rivela una vocazione illuminista. L’artista realizza infatti una Encyclopedie concettuale in cui i graffiti sumerici e le icone informatiche, la lettera fenicia e il logo di oggi si susseguono senza discontinuità. La regia mentale del lavoro convive però con il valore tattile e materico delle singole tessere, per cui l’Alfabeto globale è una parete di terra, che della terra ha il profumo e il peso, la concretezza e la fragilità.

Detto questo, bisogna subito aggiungere che al significato razionale di questa imponente architettura se ne affianca uno più sfuggente. Mi è già capitato di scrivere che il lavoro di Grillo è l’antitesi della torre di Babele. Là si assisteva a una incomprensione radicale tra gli artefici, qui si giunge a scoprire la familiarità, anzi l’identità, fra le diverse espressioni linguistiche. Eppure alla fine, anche se comprendiamo di avere radici comuni con gli abitanti di quello che i Romani chiamavano “mare nostrum”, scopriamo che ogni lettera e ogni alfabeto (mediterranei o no) racchiudono qualcosa di incomprensibile. Ogni segno esprime due cose: ciò che dice e ciò che non può dire. Ed è quel non detto che non smetteremo mai di cercare, anche nella Pala d’Oro di Gaetano Grillo.

Alfabeto globale, globalità di linguaggi

Vittoria Coen

E’ importante, ripercorrendo l’articolata carriera di Gaetano Grillo, ricordare che all’inizio degli Anni Settanta, l’artista si iscrive alla Scuola di Scultura di Alik Cavaliere presso l’Accademia di Belle Arti di Brera.

Nonostante Grillo viva da tanto tempo a Milano le sue origini pugliesi permangono fortemente ancorate nell’universo simbolico fatto di segni, colori, visioni archetipiche, memoria storica, parte integrante di quella terra e di una certa mediterraneità che l’artista fonde nella sua ricerca con le esperienze concettuali più contemporanee e con la sua vita nella grande città.

Bisogna dire che prima di arrivare all’alfabeto “grillico” l’artista ha percorso, fin dall’inizio degli Anni Settanta, una strada concettuale che parte dal tema dell’”identità”, dai momenti a carattere evenemenziale (Visualizzazione del mio cordone ombelicale) a opere come Storia, capitolo 1 paragrafo 2, dove già nel ’72 appaiono lettere e numeri in progressione, a noti personaggi “in cerca di autore” di cui il lavoro Opera Piero e Pablo, sempre del 1972, mi colpisce particolarmente per la sintesi che diventa extratemporale tra due innovatori che si incontrano a distanza di secoli. Pittura, scultura, installazione nel senso più ampio del termine, sono create attraverso media funzionali al discorso di Grillo che, nello stesso tempo dichiara, ad esempio, lapidario, in una sua mostra personale: “Sono felice quando dipingo”, nel 1976.

L’opera monumentale che ha richiesto circa venti anni di lavoro, rappresenta la summa del mondo al quale Grillo fa riferimento. E’ un’opera che “viene da lontano”, ed è egli stesso che parla della scrittura cuneiforme, dell’alfabeto egiziano, della sua personale concezione di mediterraneità e di babele di linguaggi, una dichiarazione che porta con sé concetti come “contaminazioni”, “stratificazioni”, simboli, alchimie, segni apparentemente criptici e, aggiungo io, biomorfismi affascinanti e profondi.

Pur affermando da sempre il suo rapporto fisico con la materia, che sia pittura, che sia terracotta, che sia rapporto con la terra, è fondamentale capire che dall’origine e dalla storia, si arriva alla contemporaneità e a quel desiderio, espresso da più parti nel mondo intellettuale, quasi come una utopia, di trovare un linguaggio universale nell’attualità delle culture indistinte.

E’ un linguaggio che non sempre è facile da decodificare e, cosa, importante, possiede una sua forte personalità estetica. Millequattrocento tavolette di terracotta compongono un muro, che non è di separazione, bensì di “stratificazione culturale”. Le lettere determinano frasi compiute che ciascuno di noi “tenta” di interpretare, istintivamente, come desiderio di svelarne il significato.

Il valore che il senso della sequenza di lettere produce è efficacissimo anche nei più recenti monocromi in bianco e nero che, giocando su un apparente azzeramento e gioco positivo/negativo, suggeriscono un’evoluzione ulteriore nel ricco vocabolario di immagini che Gaetano Grillo ci regala.